Quella sera lui le avrebbe finalmente regalato il pegno per una promessa d’amore. Consisteva in un piatto di ceramica, su cui era dipinto il viso di lei. Sarebbe stato un regalo inatteso, e per non guastare la sorpresa, il maestro ceramista aveva dipinto il ritratto, soltanto basandosi sulle brevi descrizioni di lui, il futuro fidanzato. Il piatto era venuto bene: la figura femminile era disegnata con tratto sicuro, aveva i capelli raccolti e al lato del viso le scendevano dei riccioli lunghi. I seni erano formosi e trattenuti dal corsetto, scivolavano in armonia con la rotondità del piatto. Sul cartiglio che attraversava il blu intenso dello sfondo c’era scritto “JULIABELLA”.
Lui sapeva che il valore simbolico dell’oggetto era pari al valore estetico. Perché con il piatto in mano, avvolto in una bella stoffa, si sarebbe presentato quella sera stessa alla famiglia di lei, per chiederla in moglie.
Così voleva la tradizione e così facevano tanti a quei tempi nel suo paese. Il desiderio di regalare un piatto di maiolica per esprimere i propri sentimenti alla fanciulla amata lo conservava fin da bambino. I pomeriggi in cui aveva l’abitudine di fermarsi a sedere solo nel salone di casa, se non c’erano ospiti; e tra i vari oggetti esposti in bella mostra nelle vetrine, gli capitava spesso di fermarsi a osservare il piatto che suo padre aveva fatto dipingere dallo stesso maiolicaro del paese vent’anni prima. Era largo, decorato con motivi vegetali rossi e verdi intorno, e al centro erano disegnate con una spessa linea blu poco definita, due mani che si stringevano delicate e allo stesso tempo solide.
Le aveva guardate a lungo, prima di capire che quelle due mani strette rappresentavano quel patto di fedeltà che avevano stretto i suoi genitori nell’unione matrimoniale.
Chissà se in futuro avrebbe potuto regalarne uno simile alla sua bella Julia. Per ora era più che contento di quello che teneva sotto braccio, e mentre, camminava verso la dimora della fanciulla, sorrideva con la bocca, con gli occhi e con il cuore.
La tradizione del vasellame amatorio ha origine a Casteldurante (Urbania, Le Marche) nel Rinascimento e poi si è diffusa in tutta Italia.
A quei tempi regalare un utensile di ceramica era una forma di comunicazione immediata, significava voler esprimere una gentilezza e un’attenzione verso la propria amata/o, moglie/marito, attraverso un linguaggio di simboli e allegorie disegnate sull’oggetto (piatti, coppe, vasi, utensili, versatoi).
A indicare l’amore nelle sue varie espressioni, la simbologia amatoria comprendeva il cuore, disegnato con le arterie, molto simile ad un frutto afferto a due mani. Poteva essere sanguinante, oppure colpito da una freccia, oppure alato (come si trova tutt’ora nei graffiti sui muri delle nostre strade), ma anche nelle sembianze di una coppa, dalla quale bere.
Anche gli animali rappresentati sugli utensili, avevano di solito un significato simbolico. Un augurio di fertilità era rappresentato dalla coniglia gravida, una scimmia disegnata indicava la lascivia, un cane fedeltà.
La tradizione del vasellame amatorio o matrimoniale (gamelio) era molto comune sia tra il popolo che tra la nobiltà, ma con la fine dell’umanesimo, questa bella tradizione andrà affievolendosi fino a scomparire. Casteldurante, (oggi, Urbania) continuerà ancora a lungo ad essere la capitale della ceramica grazie ai suoi famosissimi istoriati (maioliche su cui sono dipinte le storia dell’antichità), i quali giungeranno a tutte le corti dell’Italia del 1500.
La ceramica rimarrà fino agli inizi del 1900 il materiale essenziale per la produzione di tantissimi utensili d’uso quotidiano: piatti, pentole, vasi per la raccolta dell’uva, del grano eccetera. Su questo si basava la maggior parte della produzione all’interno delle botteghe, fino all’invenzione e all’ultilizzo massiccio di nuovi materiali, quali la plastica e i metalli che faranno loro questa parte del mercato.
Le botteghe dei vasai per sopravvivere al cambiamento dovranno allora abbandonare la produzione degli oggetti di tradizione e uso contadino, per passare alla produzione di ceramiche dette “bianche”, decorative e raffinate.
Grottaglie è un paese della Puglia che con successo ha superato questa conversione. Inoltre nel 1887 la fondazione della scuola d’arte Calò ridonerà entusiasmo alla produzione ceramica locale.
Come Grottaglie e Casteldurante, un totale di 35 città italiane* dal 1980 si sono unite nella associazione Città della Ceramica Italiana (AICC), allo scopo di tutelare la ceramica artistica e di qualità; valorizzarne la tradizione attraverso un circuito di iniziative e musei, tra cui i Musei Civici di Pesaro e il Museo Internazionale di Faenza, per conservare e portare in itinere gli esemplari della tradizione storica ceramista italiana a cui guardiamo con orgoglio oggi. Per donare nuova linfa vitale ad una professione, quella del vasaio che ancora è viva, creativa e solida e attraverso i suoi preziosi oggetti, ci permette di sognare un futuro incorniciato di forme sapienti e delicati colori, forgiati da mani giovani, perpetuazione di qualcosa di profondamente antico e radicato nella nostra storia comune.
Albisola Superiore, Albissola Marina, Ariano Irpino, Ascoli Piceno, Assemini, Bassano del Grappa, Burgio, Caltagirone, Capodimonte, Castellamonte, Cava de’ Tirreni, Cerreto Sannita, San Lorenzello, Civita Castellana, Deruta, Faenza, Grottaglie, Gualdo Tadino, Gubbio, Impruneta, Lodi, Montelupo Fiorentino, Nove, Oristano, Orvieto, Pesaro, Santo Stefano di Camastra, Sciacca, Sesto Fiorentino, Squillace, Urbania, Vietri sul mare.
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